lunedì 20 luglio 2009




Corrado Tedeschi
© Bepi Caroli
Corrado Tedeschi

27 LUGLIO 2009 - ore 21.30
Associazione Culturale Eventi Arte
Associazione Culturale Teatroper

Presentano

Don Giovanni...e le sue donne
di Moliere

versione Fausto Costantini

con Corrado Tedeschi e Corinne Bonuglia
e con Margherita Adorisio, Elena Aru, Barbara Bovoli, Titti Cerrone, Valeria de Luca, Chiara Mura, Stefania Ugomari di Blas
scenografie e costumi Carlo De Marino
luci Marco Palmieri
regia Beppe Arena


"Don Giovanni" non è solo il grande amatore spregiudicato che tutti conoscono, ma il canto di libertà per un uomo che vede attraverso l'amore, l'elevazione verso una forma pura, di vita comportamentale, che scuote in ciascuno il grigio quotidiano, facendolo apparire una tavolozza di colori, dove solo una minuta umanità non riuscendo ad elevarsi, accerchia e stritola la sua diversità. Nel contatto con l'universo femminile, Don Giovanni, a differenza dei più, sprigiona e recupera il gioco infantile dove il sesso non ci rende diversi, ma complici nell'appartenenza. Ma quanti pur sentendone il bisogno, vogliono tornare bambini, senza dimenticare di essere grandi? Sicuramente non quelli che standoci vicini, ci osservano con spavento, pronti a colpirci alla prima occasione, per uccidere con il corpo la vita di sogno del protagonista. Lo spettacolo è un percorso immaginario che attraverso Don Giovanni ci permette di cogliere tutte le reazioni di una variegata umanità quando entra a contatto con il sentimento. E' l'ultimo viaggio d'amore di un mito eletto. Ma la gente comune che possiede le chiavi della cassaforte dei sentimenti viene distratta dal riscatto sociale e non s'accorge che l'unico elemento equilibrante tra le persone non è la ricchezza, ma l'amore, non apre mai quel forziere.
Fausto Costantini Prezzo del biglietto € 16.00 posto unico - Come acquistare

sabato 18 luglio 2009

Chi è il Comitato di Garanzia Del PDmeno elle?



Chi garantisce il Comitato di Garanzia del PDmenoelle? Chi lo ha nominato? Chi suggerisce le sentenze ai Garanti? Chi sono questi Garanti della Rivoluzione degli Ayatollah della Poltrona? Ho cercato a lungo i loro nomi sui giornali senza trovarli. L'aspetto surreale e kafkiano di questi Comitati è che nessuno sa della loro esistenza e nessuno sa chi ne fa parte fino all'ultimo momento. Appaiono alla bisogna, all'improvviso per chiudere la porta in faccia, pacatamente, legalmente, brutalmente. Per difendere lo status quo. Senza nessuna autorità, se non quella che viene da loro stessi. Sono organi di potere autoreferenziali.
Quanti iscritti al PDmenoelle conoscono i componenti del Comitato di Garanzia? E in base a quali regole delibera? Nessuno a parte l'oligarchia lo sa. Un blogger mi ha mandato la lista dei Garanti con in allegato alcune fonti. Ecco, in anteprima nazionale, l'elenco di chi non ha ritenuto (all'unanimità) che Beppe Grillo possa iscriversi al PD: "poiche' egli ispira e si riconosce in un movimento politico ostile..." :
1 - Virginio Rognoni
2 - Luigi Berlinguer (presidente)
3 - Giuseppe Busia
4 - Graziella Falconi
5 - BiancaLuciana Trillò
6 - Giampietro Sestini (segretario)
Invito il PD a comunicare le motivazioni della nomina dei membri di questa fantomatica Commissione e di chi li ha eletti.
Le sezioni, i circoli, gli iscritti che non sono d'accordo con la decisione del Comitato dovrebbero chiederne subito ragione al PD.
Qualcuno lo ha già fatto. Da oggi Beppe Grillo ha la tessera del PD. Andrea Forgione, coordinatore del circolo PD "Martin Luther King" di Paternopoli, lo ha tesserato. E' il primo circolo a fare outing, non sarà l'ultimo.

Ps: E' in arrivo un Ottobre Rosso. Ripeto: è in arrivo un Ottobre Rosso.

giovedì 16 luglio 2009

Da "La cattiva strada"


Seduto sul palmo aperto della morte

Ho ucciso un uomo. E' successo l'altra sera, ad una festa in un Bar.

Mi aveva fregato giocando a carte. Io posso sopportare tutto, perfino che mi si parli dietro, ma non che mi si freghi a carte. Era un baro, sì, di quelli che si vedono nei film western. Io, quando me ne accorsi, non avevo nessuna pistola con me, e quindi non facemmo alcun duello. Però gliela promisi. Lui mi guardò ridendo e disse:

- Amico, perché te la prendi tanto? Eccoti qua quello che ti viene e vai per la tua strada. Ti ho ricompensato, non ti ho fatto nessun torto, adesso. Credevi forse di spennarmi? Vai, vai. E non temere, perduto me ne troverai altri cento.

I suoi amici si misero a ridere e mi sentii ancor più umiliato. Anche se non c'erano dubbi, avevo vinto, l'avevo scoperto e quindi avevo vinto. Ma, arrivato a casa, la mia mente sembrava non essersene accorta. Tutti i dubbi del mondo accerchiarono il mio cervello e il li-vore crebbe a dismisura. Mi sentii inutile, perfino troppo poco uomo, un individuo che gli altri non considerano per niente, solo “un pollo da spennare”. Così mi tappai in casa per due giorni interi facendomi divorare dal livore. Ma era davvero quella la ragione?

Qualche tempo prima la mia Connie se n'era andata. Sì, cancro dissero. Quale ragione per stare al mondo poteva ancora avere un tipo come me? Forse una figlia, cresciuta, grande ormai. E un genero, gentile, cordiale, buono. E anche una nipote con cui giocare. E l'amore, l'amore che per tutti loro ancora provava. Ma non era mol-to. Nessuno sa che farsene dell'amore di un vecchio.

Così, per i primi tempi, tentai di richiamare alla memoria la figura di Connie, ma mi accorsi che, a poco a poco, la sua faccia stava evaporando dalla mia mente. Poi, un bel giorno, mi resi conto di non essere più in grado di plasmare nei miei ricordi il suo viso, la sua parlata, il suo sorriso, il suo modo di camminare, addirittura il suo nome. Il mio amore stava morendo un'altra volta.

Così uscii di casa. Sapevo che quel tale, Larry, si vedeva con una donna che abita a qualche isolato da noi. Dicono che lui sia uno stallone. Difficile crederlo, se lo si guarda giocare a carte

Comunque sia.

Li notai da lontano e li seguii. Li vidi scopare. Ci misero un sacco di tempo ad arrivare. Poi li vidi parlare mentre lui, fuori dalla macchina, si riabbottonava i pantaloni.

Sembrava che litigassero.

Mi ero accucciato dietro una macchina, a pochi metri da loro, e li sbirciavo. Quel Larry mi sembrava triste. Forse lei ne aveva combinata una grossa. O forse perché non era riuscito a fregarmi a carte. E' difficile con uno come me che passa il suo tempo fra solitari e partite a poker. Lei stava in automobile. Si muoveva con gesti inso-liti. Chissà cosa stava facendo. Poi, all'improvviso, accese l'automobile e fece retromarcia. Si fermò ancora un istante a parlare con quel ragazzo che, fuori dalla macchina, pareva pregarla per qualcosa. Forse voleva farne un'altra, chissà. Dopodiché, stizzita, partì sgommando.

Fu allora che io uscii.

Quante volte in questi due giorni mi sono rimproverato l'avventatezza di quella sera. Sì, perché lei non era andata via. Si era trovata davanti un'altra auto che stava uscendo da un posteggio, e aveva dovuto fermarsi per scansarla. Ma io ero già uscito dal mio nascondiglio, e avevo quel tizio a pochi metri da me. Quando mi vide non mi riconobbe subito. Rimase immobile, e mentre mi avvicinavo a lui lo vidi sorridere. Giunsi a mezzo metro dal suo tronco di corpo, e prima che riuscisse a rivolgermi la parola gli assestai un fendente ad un fianco.

Cadde. Uno zampillo di sangue sporcò le mie scarpe. L'avevo preso ad un organo vitale, senz'altro, il sangue usciva a fiotti. Forse al fegato. Il lato era quello. Il Destro. Restai immobile per alcuni secondi, come se fossi ipnotizzato dall'espressione della sua faccia mentre tirava le cuoia. I suoi occhi forse stavano chiedendo pietà a Dio. La sua lingua non riusciva a trovare la giusta posizione perché i versi si trasformassero in una frase che avesse senso compiuto. Poi vidi l’automobile di quella donna fare retromarcia. Quando scese io scappai.

Quella notte non dormii molto, e così la notte successiva. La Morte aveva fatto di nuovo irruzione nella mia vita. Mi sentii come quando morì la mia Connie. Abbandonato, vuoto. La Polizia iniziò a cercarmi, e io, da quella notte, avevo quasi perso il coraggio di uscire di casa. Fino a quando, questa mattina, capii che mi era rimasta una sola cosa da fare.

Ma perché sono uscito quel giorno? La mia Connie lo diceva sempre che per me era meglio leggere, che le carte portano problemi, nient'altro. E così fu. “L’oggi”, insieme ai problemi, è arrivato. In un istante solo mi sono reso conto d'aver perso tutto.

Mi sveglio. Sono le ventitré. Penso subito a quanto ho dormito. Otto ore in tutto. Dalle quindici. Ero andato a dormire subito dopo aver pranzato. La prima cosa che faccio è andare in cucina. Apro la finestra che dà sul viale stanco e annoiato della città. Si è alzato il vento. Una corrente calda e forte che sale da levante. Anzi, da sud-est. Spettina e tira via dalla testa dei calvi i brutti e costosi cappelli. Lotta strenuamente con gli alberi, certo che anche questa volta non la spunterà, e, scuotendo le gonne lunghe di anziane signore, gioca con la peluria dei cani, immobili nel farsi accarezzare.

La Polizia mi cerca. Istintivamente sposto lo sguardo a destra, dove si srotola una lunga fila di pioppi prigionieri nelle anguste aiuole cittadine. Un vecchio barbone si aggira lento e con l'anima raffazzonata nelle strade del rione, sicuro di non essere notato. Dondola curvo, ubriaco probabilmente, con le gambe molli e il volto bisunto.

Dalla tasca destra del suo lacero cappotto fuoriesce il collo di una bottiglia. Dall'altra, che un'evidente chiazza umida e scura mette in risalto, fa capolino la copertina di un libro. Sussurra che è molto meglio non giudicare.

L'intellettualità è qualcosa che ha bisogno di complementi viziosi. Droga, alcol, omosessualità.

Rientro in casa. Chiudo la portafinestra. E' un Novembre freddo, questo. Il mio corpo si scuote. Brividi si mettono a correre lungo la mia schiena, facendo a chi arriva primo. Come lacrime sul lattiginoso viso di un bambino.

Non so ancora perché ho deciso di farlo. Forse lo sapevo e l'ho dimenticato. Per mancanza di attaccamento alla vita? Perché l'ho tolta ad un uomo come me? O forse perché voglio sapere quale bizzarro gusto ci sia a mandare affanculo tutta l'umanità contemporaneamente? L'unica cosa che so con certezza è quando questo meccanismo inferenziale e autodistruttivo è iniziato.

Ieri sono tornato a casa e ho trovato Milly, il mio gatto, morto sul balcone. Disperatamente tentai di rianimarlo, ma non ci fu nulla da fare. Anche le sette vite dei gatti oggi s'inflazionano. Poi mi accorsi che presumibilmente era morto soffocato. Cercai, e trovai, conficcato nella sua gola, il canarino della vicina. Il becco gli aveva ferito mortalmente il palato, e lui non era più riuscito a liberarsene. Improvvisamente mi sentii escluso, tagliato fuori dal sistema, dal mondo.

Cosa grave? All'apparenza no. In effetti, a parte il bene che gli volevo, quel gatto era solo un luogo comune che andava in frantumi, un qualcosa a cui ci si abitua presto, quasi come la morte di uno sconosciuto o come la velocità con cui si spendono i soldi quando li si hanno in tasca. Ragionai.

Mi sentivo sempre io, Robert McDowell, nella mia tuta ginnica di casalingo, ma avevo perso il riferimento a me più caro. Un gatto, sì. Non riuscivo a capire come aveva fatto Milly a finire sul balcone. Che fosse passato dalla camera da letto? Dopo aver più volte stramaledetto il mondo e i suoi abitanti, ricordai d'aver lasciato la portafinestra aperta. Quel gatto era morto per colpa mia.

Come la mia Connie, forse.

Spengo la luce e vado in camera mia. C'è mezza bottiglia di Bourbon avanzata dal giorno prima. La porto alla bocca e ne ingollo metà. Della metà. Come dire, un quarto di bottiglia. Finita non ce ne sarà più. Via tutti i pensieri. Lo stesso ragionamento del povero di mezzi quando sale sullo sgabello che lo farà arrivare al tubo del riscaldamento intorno al quale legherà la corda dopo aver fatto il cappio. Sì, proprio quello che mi accingo a fare io.

Si è rimesso anche sul nuvoloso. Triste. Malinconico. Come quello scrittore italiano che si è suicidato. Com'è che si chiamava? Ah sì, Pavese. E’ strano, dove le nuvole si fanno meno grasse è segnato da macchie chiare. Il resto è rosso scuro, quasi porpora. La città è ogni Inverno più buia e tetra. Sarà la vecchiaia. La mia camera è un contorno ammuffito, abbandonato a sé stesso, putrefatto. Un contorno fatto di cose consuete che uccidono in me qualsiasi gusto. Certo, questa è la Morte. Una mannaiata improvvisa che tarpa le ali alla speranza della vita di sfuggirle ancora.

Mi siedo sulla sponda del mio letto. E' lei. Maledetta. La solita paura della sera. Il vuoto. Connie, amore mio, dove sei? Il silenzio. E' l'unica cosa che ti spinge a riallacciare i rapporti con l'umanità. Ma la mia Connie non esiste più. E' morta. E io mi sento vuoto.

Basta! Questo rumore, sommesso e tuttavia assordante, degli appartamenti vicini mi tortura. Forse sono geloso, geloso della loro vita. La lampada illumina debolmente gli angoli più bui della mia stanza proiettando fasci deboli di luce. La sposto. Ora affetta un pezzo della mia mano, un lembo di lenzuola del mio letto, la spalliera di una sedia, l'angolo rovinato di un libro. A scuola si chiamavano “orecchie”. Compagni dove siete? E i professori? E le teste pelate? I libri? I toni sommessi? I cortei? I primi amori?

Alzo la testa. Mi accorgo che la luce riflette la stanza sul vetro della portafinestra rendendola quasi un televisore. Stufo, mi alzo e la spengo. Tutto cambia. La luce dei lampioni sottostanti s'impossessa dei muri e delle cose attorno, e penetrando fra gli intervalli mobili che la tenda, mossa dal vento, provoca per inerzia, restituisce a tutto ciò che ho intorno il suo colore naturale, in precedenza reso più scuro proprio dalla penombra che il fascio di luce della lampada formava nel buio per impotenza, non raggiungendo.

Faccio fare un giro della stanza ai miei occhi. Gli oggetti formano strane figure che io, con l'enfasi di un esegeta disonesto, trasformo in profili di cari amici dell'infanzia per godere della loro presenza.

Sposto la tenda e appiattisco il viso sul vetro della finestra. Chiudo gli occhi e riesco ad evocare l'alito fresco della calma serata d'Agosto in cui conobbi la mia Connie, delle sagre di paese, dei carri allegorici, e di quell'antica e bella luce dei lampioni di una volta che trasfigurava, come in un paesaggio polare illuminato elettricamente, i lastrici azzurri e pallidi.

Non c'è poesia in queste città moderne.

Salgo su una sedia. L'ho posizionata accanto all'armadio, nello spazio che c'è per permettere alla porta di aprirsi compiutamente. Arrivo al tubo del riscaldamento. Lego la corda. Il cappio, penzolante, forma un grosso occhio verticale che subito mi fissa. Che vuoi maledetto?

Guardo il tubo. Un po' fine. Chissà se reggerà? E se nell'istante in cui mi accingo ad esalare l'ultimo respiro si rompe e mi spruzza in faccia un getto potente e interminabile di acqua bollente? Resterei ustionato. Ma tanto mi devo uccidere, no? E se non ci riesco? Vivo e sfigurato. Magari anche storpio, cadendo dalla sedia. In certe occasioni bisognerebbe trovare il coraggio di essere più scientifici. Un colpo di pistola alla testa dà certamente più garanzie.

Scendo giù, per ora. Per ammazzarsi c'è sempre tempo. Ho tutta la notte davanti a me. Vado al comodino e riaccendo la lampada.

Questa, con l'ignavia della sua luce, illumina distrattamente la mia libreria. La sposto e da dietro il paralume levo un cofanetto. E' pieno di lettere quasi lise dal tempo. Sono della mia Connie. Morta. D'inerzia. D'inadattamento alla vita, alle modernità, al progresso. Come me. Come tutti quelli che muoiono. L'occhio verticale, da lassù, continua impietoso a fissarmi. Calma, calma, non c'è fretta, maledetto.

Penso un momento. Provo a ricordarla.

Macché! I miei genitori s'infilano dappertutto. Mio padre. Che ridere quando mi portò a manifestare con lui. Le sue convinzioni, prepotentemente di sinistra. Vedesse come siamo ridotti oggi, poverino. Lui ci credeva ciecamente. Credeva a tutto, il babbo. A quelle lunghe marce contro la guerra, contro la pena di morte..……...…….

Dovevo approfittarne allora, quando me lo diceva lui.

- Vai figliolo, buttati e qualche cosa prenderai. - mi diceva.

Non aveva molto senso dell'onestà, mio padre. Mia madre invece era decisamente diversa.

- Attento figliolo, - mi avvertiva - si ruba un ago, poi un bue, e si finisce per vendere la propria madre!

Simpatica la mamma. Aveva una passione smisurata per i proverbi. "Rosso di sera bel tempo si spera", "E' meglio l'uovo oggi che la gallina domani", "la speranza è l'ultima a morire"......…………......... Peccato che alla mia età sia proprio la morte l'ultima speranza. E la gallina allora? Chi l'ha mai vista? Una vita di uova quotidiane, che piano piano hanno conquistato la tavola del domani, del dopodomani...……....…….…..E' andando avanti di questo passo che si finisce lassù, appesi a quell'occhio verticale.

La Morte, comunque, non è l'unica pena. Quante occasioni ho perso! E anche il rammarico può essere una pena. Il rammarico di essersi accontentati tutta la vita. Ma i miei istanti dove sono andati a finire?

Forse ce li ho qua, in tasca. O forse ci sono seduto sopra. Come se fossero un palmo aperto. Che mi culla. Il palmo aperto della morte. La Morte. Una necessità in funzione dei vivi. La Vita. Una casualità che è capitata anche ai morti. E le amnesie? Forse è con quelle che si muore la prima volta, quando non si riesce più a ricordare.

Alla mia età sembra che la fanciullezza non sia mai esistita, che sia solo un ricordo rubato ad altri, il frammento di un libro che abbiamo letto, di una commedia teatrale che abbiamo visto. Spesso rimproveriamo la nostra memoria, perché ai nostri richiami ella non risponde che in maniera confusa, e le immagini che ci mostra sono opache, ormai sbiadite dagli anni. Dai nostri? Non dai nostri in realtà, ma dai suoi, dalla pesantezza che le ore anonime hanno dovuto sopportare, e che, perdendo strada facendo la loro contemporaneità, hanno annebbiato quello che era un terso panorama, così che la gioventù ne risente e, seppur presente, anch'ella invecchia. Sì, di un anziano anche la fanciullezza può portare molti anni, perfino nelle fotografie, addirittura nei ricordi.

Oggi, per quanto io mi sforzi, non riesco più a richiamare quei giovani istanti come facevo una volta. Quando, quelle poche volte, ci riesco, sento che tutto è così contraffatto, falso, virtuale. Come dite? Sono malato? Non più di voi, signori cari. Sì? Come si arriva a desiderare la Morte? Ma la Morte non la si desidera che inconscia-mente. Credete che il tizio sopra alla balaustra di quel palazzo che si sta per buttare di sotto sappia realmente perché lo fa? No. Come molti anche lui pensa che in fondo nessuno lo conosca bene, nella sua dolcezza, nella bontà d'animo, nella sua nobiltà, nella sua intelligenza, nella sua cultura. Anche lui, come me, pensa che in verità la vita di una persona non è una striscia continua, qualcosa di lineare, ma un non meglio precisato stato provvisorio, una striscia spezzettata determinata da situazioni, stati d'animo, emotività, con-dizioni sociali, livelli mutevoli di coscienza. Nessuno, sotto quest'aspetto, conosce nessuno. La vita di un individuo è qualcosa di diverso dell'istante in cui lo abbiamo conosciuto, nel quale gli abbiamo stretto la mano per la prima volta, o dell'antipatia che ci ha ispirato un suo gesto che noi, con un imperante pressappochismo, abbiamo ritenuto essere il suo fedele specchio dell'anima.

Ho capito, ma io? Perché voglio farla finita? Perché Milly è morta? Figuriamoci. Perché sono una specie d'iconoclasta che non si è abituato a vivere soffocato dalle tecnologiche modernità? No. Perché con una coltellata ho ucciso un disperato come me? Neanche. Il cappio, con l'enormità del suo occhio verticale, mi fissa. Che vuoi maledetto? Arrivo, arrivo! Un momento! Voglio solo spiegare!

Sì, perché voglio farlo? Forse perché i miei ricordi sono venuti meno. L'ho capito stamattina. O forse molto tempo fa, percorrendo quel sentiero consumato dietro il feretro di legno della mia Connie.

Quando s'invecchia la memoria vacilla, i ricordi si offuscano e piano piano spariscono. Ma non spariscono dal primo all'ultimo, piuttosto fanno il percorso inverso, dall'ultimo al primo, così che le cose che dimentichi più in fretta sono proprio quelle a cui sei più affezionato, i recenti attimi. L’ultimo libro che hai letto, la faccia di tua moglie, il tuo ultimo compleanno, l'anniversario di matrimonio di tua figlia, l'età di tua nipote...

Sono convinto che non si muore perché aumentano gli anni, ma perché diminuiscono i ricordi. Diventiamo anziani, giorno dopo giorno, e vediamo che ogni cosa intorno a noi cambia, gli oggetti, gli amici, le nostre convinzioni, ma riusciamo a restare giovani fino a quando i nostri ricordi ci allietano la vita riportandoci indietro nel tempo e facendoci godere, forse più che allora, la nostra giovinezza. Non appena la capacità di ricordare diventa flebile però, ciò che ci occupa gli occhi sono solo le immagini scarne dello squallido presente che la vista ci propina.

Ebbene, dal giorno in cui fissai negli occhi l'approssimazione della vita, il dì nel quale la mia Connie se ne andò, ho cominciato a coltivare un insano e fittizio attaccamento alla mia esistenza. Sapevo che senza quest'autoconvincimento non sarei campato a lungo, ma non m'interessava, e non m'interessa più, far parte di questi corpi in movimento, di questo balletto che conta. Così, a poco a poco, quell'attaccamento divenne immaginario. Mi osservavo e mi accorgevo di non provare piacere alcuno, ma tuttavia restavo anonimamente aggrappato a quell'immaginazione, quasi per sentirne il fastidio, quasi per giudicarla fino in fondo inutile e vana, la vita, tanto vana che non dovrebbe interessare a nessuno portarla a termine.

Questo fastidio lo sentivo continuamente, e dovevo lottare, combattere per non farmi strappare alla mia immaginazione, a quell'amore fittizio per la vita che tentavo d'impormi. Era un lavoro duro, questo. Sì, perché in verità non sono mai riuscito a spiegarmi completamente da chi e da che cosa siamo attratti, che cos'è questa malattia, quest'orrenda abitudine, quest'irrimediabile perpetuarsi, questa discutibile necessità, questa voglia di vivere che la gente continua insistentemente a portarsi addosso. Solo un male, un dolore pieno. Ma perché continuare a soffrire così? Perché?

Forse perché la nostra esistenza, questa fatica che ci sforziamo di protrarre al meglio, non si lascia assaporare appieno e immediatamente. Il suo gusto si perde nel tempo, si diluisce negli anni, tanto che il solo piacere che incontriamo è nel Passato che, vivo, di tanto in tanto viene ad allietarci il cuore. Sì, è la memoria l'unica scusante per continuare ad imporre al mondo la nostra presenza.

Ma quando non ricordi più?

Questo è il motivo, o se preferite la scusa, per cui con la testa caverò quell'occhio verticale. Perché il sapore mi veniva da laggiù, da lontano, dai ricordi della mia Connie che mi tenevano legato al Tempo che passa.

Il Presente è piatto, ostile, ostile anche se molle. Crudele, crudele anche se sordo. Cattivo, cinico, barbaro, abile nemico. Ma nel ricordo si può cambiare. Nel ricordo diventa malleabile, buono, e la nostra memoria riesce a rielaborarlo arricchendolo di particolari, di odori, di sapori, sfumando i contrasti, i litigi, le noie, addolcendo i dolori, le infamie, le incomprensioni, e rendendolo, sebbene soltanto nei ricordi, digeribile o addirittura stupendo.

Non c'è niente da fare, la Vita è solo narrazione, solo Passato.


sabato 11 luglio 2009

Obama Premio Nobel per la Pace con merito? No, continua la politica di Bush


Offensiva alleata in Afganistan

"A 20 chilomutri da Farah, in Afghanistan, c'e' stato un attacco a un nostro mezzo lince" da parte di un attentatore suicida, che ha provocato il ferimento leggero" e
"non grave di due militari italiani. Lo ha riferito il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, in conferenza stampa.

Attorno a Kabul sud, i paracadutisti della Folgore e militari afghani hanno catturato un gruppo di guerriglieri presenti nel distretto di Musahi, considerati responsabili di molti degli attacchi portati a termine contro le unita' italiane.

L'offensiva americana in Afghanistan si e' trasformata a Garmsir in una "battaglia
infernale", ha detto il capo delle operazioni militari, generale Larry Nicholson. La brigata 2/8 dei marines ha difficolta' nell'avanzata verso il nord della provincia di Helmand, ma entro oggi contano di sbaragliare la presenza talebana e penetrare piu' a fondo nella roccaforte miliziana.


L'offensiva "Colpo di spada" (Kanjahr, in afghano) era cominciata ieri, annunciandosi come "la piu' grande dai tempi del Vietnam", voluta da Barack Obama in vista delle elezioni presidenziali del 20 agosto. Quasi 4.000 fra marines e altri militari americani -appoggiati da elicotteri e una cinquantina di aerei- e 650 soldati e poliziotti afghani erano penetrati a sud della valle del fiume Helmand, una roccaforte dei talebani.

Il presidente americano si e' assicurato che i rifornimenti per le truppe possano arrivare anche utilizzando il territorio russo, via terra e via aria: un accordo sara' siglato da Obama, quando andra' a Mosca.


I marines cercano in una prima fase di conquistare e, impresa piu' difficile, di mantenere il controllo di tre citta' strategiche: Nawa, Garsmir e Khan Neshin. "Tre quarti di Garsmir sono tranquilli, ma si combatte a Toshtay. Entro oggi
la ripuliremo del tutto, ma non e' detto che con questo finisca la battaglia. Il nemico potrebbe ritirarsi per valutare il da farsi", ha spiegato Nicholson. A Khan Neshin le cose vanno meglio, tanto che il governatore di Helmand, Gulab Mangal,
pensa di recarvisi nelle prossime ore, primo funzionario del governo afghano a visitarla in cinque anni. Quanto a Nawa, Nicholson spiega che "e' troppo tranquilla, il nemico potrebbe essere acquattato, i consigli degli anziani (la shura) sono in
vigore.

La resistenza talebana, a parte Garmsir, e' stata improntata a un "mordi e fuggi", che pero' e' riuscito a uccidere un soldato americano, il primo caduto nell'offensiva,
ha spiegato il capitano Bill Pelletier, portavoce dei marines nella provincia. Per il momento, e' il caldo l'arma in piu' nelle mani dei talebani. Numerosi soldati hanno dovuto farsi ricoverare perche' stremati dalle temperature altissime, intorno ai 43 gradi Celsius.

Anche i britannici fanno la propria parte, in operazioni distinte da quella a stelle e strisce. I soldati di Sua Maesta' hanno sbloccato diverse vie di collegamento, almeno tredici, che consentiranno loro di prevenire attacchi dei miliziani nell'area tra Gereskh e Lashkar Gah, piu' a nord rispetto all'area in cui combattono gli americani.


Barak Obama ha preso il Premio Nobel per la Pace. Tutto è inutile quando non i vuol vedere.

giovedì 2 luglio 2009

VERITA'

CRUDA E ACERBA E' LA VERITA'
UNA LAMA TAGLIENTE SENZA PIETA'
POTENTE PIU' DI OGNI ALTRO FENOMENO,
URAGANI E TEMPESTE
NON RIESCONO A DEVASTARE
QUESTA BENEDETTA VERITA'.
ORA CHI NON LA DICE
VIVE D INGANNO
APPARENTEMENTE
NON PROVOCA ALCUN DANNO
COSI' MENTENDO
SI SBARAZZA DI OGNI AFFANNO
PERSEGUE UNA VIA
PRIVA DI SENNO.
MA ESSA NON PUO' IN ETERNO
RESTAR SEPPELLITA
COME UNA BOLLA D' ARIA
CHE SOTT'ACQUA E' FINITA..
PRIMA O POI
VERRA' SU A GALLA
A DISTRUGGERE IL NULLA.
Maria Grazia Puliga